Verderio
vicino a Oldaniga, Lombardia (Italia)
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Rime (Berni)/LXXIV.
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXXIV. [Vero spirito d'Inferno per amore]
Informazioni sulla fonte del testo
◄ LXXIII.
Vero inferno è il mio petto,
vero infernale spirito son io
e vero infernal foco è ’l foco mio.
Quell’arde e non consuma e non si vede,
e la mia fiamma è tale
che, perch’io vivo e non la mostro fòre,
madonna non la crede.
Privo d’ogni speranza di mercede
e del divino aspetto
è lo spirito misero infernale;
et io gli sono eguale
e vivo senza ’l mio vitale obietto,
né speme ha la mia fede
et ostinato in una voglia è ’l core.
Anzi stato migliore
han gli spirti laggiù, ché giustamente
ardono in foco, et io ardo innocente;
quegli spregian sovente
e bestemmion l’autor dell’esser loro,
et io chi mi tormenta amo et adoro.
◄ LXXIII. ▲
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
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Rime (Berni)/LXVIII. Sonetto delli bravi
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXVIII. Sonetto delli bravi
Informazioni sulla fonte del testo
◄ LXVII. Sonetto della massara LXIX. ►
Voi che portaste già spada e pugnale,
stocco, daga, verduco e costolieri,
spadaccini, svïati, masnadieri,
sbravi, sgherri, barbon, gente bestiale,
portate or una canna o un sagginale
o qualche bacchettuzza più leggieri,
o voi portate in pugno un sparavieri:
gli Otto non voglion che si faccia male.
Fanciugli e altra gente che cantate,
non dite più: "Ve’ occhio c’ha ’l bargello",
sotto pena di dieci staffilate.
Questo è partito, e dèbbesi temello,
di loro eccelse signorie prefate,
vinto per sette fave et un baccello.
Ogniuno stia in cervello,
ari diritto, adoperi del sale:
gli Otto non voglion che si faccia male.
◄ LXVII. Sonetto della massara ▲ LXIX. ►
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Rime (Berni)/LIX. Sonetto del Bernia
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LIX. Sonetto del Bernia [Dell'anticaglie e de' suoi parenti]
Informazioni sulla fonte del testo
◄ LVIII. Al Cardinale Ippolito de' Medici LX. Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di Nizza ►
Non vadin più pellegrini o romei
la quaresima a Roma alle stazzoni,
giù per le scale sante ginocchioni,
pigliando l’indulgenzie e i giubilei;
né contemplando li archi e’ colisei,
e’ ponti, li acquedutti e’ settezzonî,
e la torre ove stette in doi cestoni
Vergilio, spenzolato da colei.
Se vanno là per fede o per desio
di cose vecchie, vengan qui a diritto,
ché l’uno e l’altro mostrerò lor io.
Se la fede è canuta, come è scritto,
io ho mia madre e due zie e un zio,
che son la fede d’intaglio e di gitto:
paion gli dèi d’Egitto,
che son de gli altri dèi suoceri e nonne
e fûrno inanzi a Dëucalïonne.
Gli omeghi e l’ipsilonne
han più proporzïon ne’ capi loro
e più misura che non han costoro.
Io li stimo un tesoro
e mostrerògli a chi gli vuol vedere
per anticaglie naturali e vere.
L’altre non sono intiere:
a qual manca la testa, a qual le mani;
son morte e paion state in man de’ cani.
Questi son vivi e sani
e dicon che non voglion mai morire:
la morte chiama et ei la lascian dire.
Dunque chi s’ha a chiarire
dell’immortalità di vita eterna,
venga a Firenze nella mia taverna.
◄ LVIII. Al Cardinale Ippolito de' Medici ▲ LX. Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di Nizza ►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
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Rime (Berni)/LXXIV.
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Vero inferno è il mio petto,
vero infernale spirito son io
e vero infernal foco è ’l foco mio.
Quell’arde e non consuma e non si vede,
e la mia fiamma è tale
che, perch’io vivo e non la mostro fòre,
madonna non la crede.
Privo d’ogni speranza di mercede
e del divino aspetto
è lo spirito misero infernale;
et io gli sono eguale
e vivo senza ’l mio vitale obietto,
né speme ha la mia fede
et ostinato in una voglia è ’l core.
Anzi stato migliore
han gli spirti laggiù, ché giustamente
ardono in foco, et io ardo innocente;
quegli spregian sovente
e bestemmion l’autor dell’esser loro,
et io chi mi tormenta amo et adoro.
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Rime (Berni)/LXVIII. Sonetto delli bravi
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Voi che portaste già spada e pugnale,
stocco, daga, verduco e costolieri,
spadaccini, svïati, masnadieri,
sbravi, sgherri, barbon, gente bestiale,
portate or una canna o un sagginale
o qualche bacchettuzza più leggieri,
o voi portate in pugno un sparavieri:
gli Otto non voglion che si faccia male.
Fanciugli e altra gente che cantate,
non dite più: "Ve’ occhio c’ha ’l bargello",
sotto pena di dieci staffilate.
Questo è partito, e dèbbesi temello,
di loro eccelse signorie prefate,
vinto per sette fave et un baccello.
Ogniuno stia in cervello,
ari diritto, adoperi del sale:
gli Otto non voglion che si faccia male.
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Non vadin più pellegrini o romei
la quaresima a Roma alle stazzoni,
giù per le scale sante ginocchioni,
pigliando l’indulgenzie e i giubilei;
né contemplando li archi e’ colisei,
e’ ponti, li acquedutti e’ settezzonî,
e la torre ove stette in doi cestoni
Vergilio, spenzolato da colei.
Se vanno là per fede o per desio
di cose vecchie, vengan qui a diritto,
ché l’uno e l’altro mostrerò lor io.
Se la fede è canuta, come è scritto,
io ho mia madre e due zie e un zio,
che son la fede d’intaglio e di gitto:
paion gli dèi d’Egitto,
che son de gli altri dèi suoceri e nonne
e fûrno inanzi a Dëucalïonne.
Gli omeghi e l’ipsilonne
han più proporzïon ne’ capi loro
e più misura che non han costoro.
Io li stimo un tesoro
e mostrerògli a chi gli vuol vedere
per anticaglie naturali e vere.
L’altre non sono intiere:
a qual manca la testa, a qual le mani;
son morte e paion state in man de’ cani.
Questi son vivi e sani
e dicon che non voglion mai morire:
la morte chiama et ei la lascian dire.
Dunque chi s’ha a chiarire
dell’immortalità di vita eterna,
venga a Firenze nella mia taverna.
◄ LVIII. Al Cardinale Ippolito de' Medici ▲ LX. Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di Nizza ►
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