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Statistiche del percorso

Distanza
20,75 km
Dislivello positivo
7 m
Difficoltà tecnica
Facile
Dislivello negativo
7 m
Altitudine massima
106 m
TrailRank 
64
Altitudine minima
73 m
Tipo di percorso
Anello
Tempo in movimento
2 ore 36 minuti
Tempo
3 ore 3 minuti
Coordinate
3394
Caricato
30 dicembre 2022
Registrato
dicembre 2022
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vicino a Mulazzano, Lombardia (Italia)

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Rime (Berni)/LV. Capitolo del debito

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< Rime (Berni)

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)

LV. Capitolo del debito [A Messer Alessandro del Caccia]

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◄LIV. Capitolo in laude d'AristoteleLVI. Capitolo di Gradasso►


Quanta fatica, messer Alessandro,
hanno certi filosofi durata,
3come dir, verbigrazia, Anassimandro
  
e Cleombroto e quell’altra brigata,
per dichiararci qual sia ’l sommo bene
6e la vita felice alma e beata!
  
Chi vuol di scudi aver le casse piene;
chi stare allegro sempre e far gran cera,
9pigliando questo mondo com’e’ viene:
  
andar a letto com’e’ si fa sera,
non far da cosa a cosa differenzia,
12non guardar più la bianca che la nera.
  
Questa hanno certi chiamata indolenzia,
ch’è, messer Alessandro, una faccenda,
15che l’auditor non v’ha data sentenzia:
  
vo’ dir ch’io credo che la non s’intenda;
voi chiamatela vita alla carlona,
18qua è un che n’ha fatto una leggenda.
  
Un’altra opinïon, che non è buona,
tien che l’imperador e ’l prete Ianni
21sien maggior del torrazzo di Cremona,
  
perché veston di seta e non di panni,
son spettabili viri, ogniun gli guarda,
24son come fra gli uccelli i barbagianni.
  
E fu un tratto una vecchia lombarda
che credeva che ’l papa non fuss’uomo,
27ma un drago, una montagna, una bombarda;
  
e, vedendolo andare a vespro in duomo,
si fece croce per la maraviglia:
30questo scrive uno istorico da Como.
  
Dell’altra filosofica famiglia
sono intricati più, dico, gli errori,
33ch’una matassa quando si scompiglia.
  
Vergilio disse che i lavoratori
starebbon ben, s’egli avessin cervello,
36se fussin del lor ben conoscitori;
  
ma questo alla sentenzia è stran suggello:
è come dare inanzi intero un pane
39a chi non abbia denti né coltello.
  
Chi vuol che le persone sien mal sane
dice che lo studiar ci fa beati
42e la scïenzia delle cose strane;
  
e qui gridan le regole de’ frati,
che danno l’ignoranzia per precetto
45e non voglion che mai libro si guati.
  
Non è mancato ancor chi abbi detto
gran ben del matrimonio e de’ contenti
48che son nel marital pudico letto.
  
Questo amo io più che tutti i miei parenti
e dico che lo starvi è cosa santa,
51ma senza compagnia, non altrimenti.
  
Son queste opinïon più di novanta;
son tante, quanti gli uomini, le vite
54e sempre ogniun l’altrui celebra e canta;
  
ma fra le più stimate e reverite
è, per detto d’ogniun, quella de’ preti,
57perch’egli han grandi entrate e poche uscite.
  
Or tacete, filosofi e poeti;
voi, Svetonio e Platina e Plutarco,
60che scriveste le vite, state cheti:
  
lasciate dir a me, che non imbarco
e son in questo così buono autore,
63sono stato per dir, come san Marco.
  
Più bella vita al mondo un debitore,
fallito, rovinato e disperato,
66ha che ’l gran turco e che l’imperatore.
  
Questo è colui che si può dir beato:
in tutto l’universo ove noi stiamo
69non è più lieto e più tranquillo stato.
  
E perché paia che noi procediamo
con le misure in mano e con le seste,
72prima quel che sia debito vediamo.
  
Debito è far altrui le cose oneste,
come dir ch’a’ più vecchi si conviene
75trar le berette et abbassar le teste;
  
adunque far il debito è far bene
e quanto è fatto il debito più spesso,
78tanto questa ragion più lega e tiene.
  
Or fatto il presupposito e concesso
che ’l debito sia opra virtüosa,
81le consequenzie sue vengon appresso.
  
Ha l’anima gentile e generosa
un uom ch’affronti e faccia stocchi assai:
84è uom da fargli fare ogni gran cosa.
  
Non ebbe tanto cuore Ercole mai,
né que’ che vanno in piazza a dare al toro,
87sbricchi, sgherri, barbon, bravi, sbisai.
  
O teste degne d’immortale alloro,
ma più delle carezze e de’ rispetti
90e delle feste che son fatte loro!
  
Non è tal carità fra’ più diletti
figliuoli e padri, e fra moglie e marito,
93e s’altri son fra sé di sangue stretti.
  
È più accarezzato e più servito
un debitor da chi ha aver da lui
96che se del corpo fuor gli fusse uscito:
  
non par che tenga memoria d’altrui.
Andate a dir ch’un avaraccio boia
99abbia le belle grazie c’ha costui:
  
anzi non è chi non brami che muoia,
tanto è perseguitato e mal voluto,
102tanto l’han proprio i suoi figliuoli a noia.
  
Un debitore è volentier veduto,
mai non si truova che nulla gli manchi,
105sempre alle spese d’altri è mantenuto.
  
Guardate un prete, quando va per Banchi,
che sberettate egli ha da ogni canto,
108quanta gente gli è sempre intorno a’ fianchi.
  
Questo è colui che si può dare il vanto
di vera fama e di solida gloria,
111quel ch’è canonizzato come un santo.
  
Non ha proporzïone annale o istoria
con gli autentichi libri de’ mercanti,
114che son la vera idea della memoria;
  
e costor vi son drento tutti quanti,
e quindi tratti a farsi più immortali.
117E’ son dipinti su per tutti i canti:
  
voi vedete certi abiti ducali,
fatti con orpimento e zafferano,
120con lettere patenti di speziali.
  
E sarà tal che prima era un cristiano,
che si farà più noto a questo modo
123che non è Lancilotto né Tristano.
  
Un debitor, ch’è savio, dorme sodo;
fa sonni che così gli facess’io!
126Par che bea papaveri nel brodo.
  
Disse un tratto Alcibïade a suo zio,
ch’avea di certi conti dispiacere:
129"Voi sète pazzo, per lo vero Dio!
  
Lasciatevi pensare a chi ha avere,
o qualche modo più presto trovate,
132ch’i creditor non gli abbino a vedere".
  
Vo’ dir per questo, se ben voi notate,
che se i debiti ad un metton pensiero,
135si vorria dargli cento bastonate.
  
Vedete, Caccia mio, s’io dico il vero,
ché il peggio che gli possa intervenire
138è l’esserne portato com’un cero.
  
Voi vedete il bargello a voi venire
con una certa grazia e leggiadria,
141che par che voglia menarvi a dormire;
  
né so, quand’io veggo un che vada via
con tanta gente da lato e d’intorno,
144che differenzia a lui dal papa sia.
  
Poi, forse che lo menano in un forno?
Sèrronlo a chiave in una forte rocca,
147com’un gioiel di molte perle adorno.
  
Come egli è giunto, ogniun la man gli tocca,
ogniun gli fa carezze e accoglienze,
150ogniun per carità lo bacia in bocca.
  
O glorïose Stinche di Firenze,
luogo celestïal, luogo divino,
153degno di centomila riverenze:
  
a voi ne vien la gente a capo chino,
e prima che la vostra scala saglia,
156s’abbassa in su l’entrar dell’usciolino;
  
a voi nessuna fabbrica s’agguaglia:
sète più belle assai che ’l culiseo,
159o s’altra a Roma è più degna anticaglia;
  
voi sète quel famoso Pritaneo,
dove teneva in grasso i suoi baroni
162el popol che discese da Teseo;
  
voi gli tenete in stia come i capponi,
mandate il piatto lor publicamente,
165non altrimenti che si fa a’ lioni.
  
Com’uno è quivi, è giunto finalmente
a quello stato ch’Aristotel pose,
168che ’l senso cessa e sol opra la mente.
  
Voi fate anche le genti industrïose:
chi cuce palle, chi lavora fusa,
171chi stecchi e chi mille altre belle cose;
  
non vi ha né l’ozio né ’l negozio scusa,
l’uno e l’altro ricapito vi truova,
174di tutti duoi v’è la scïenzia infusa.
  
S’alla città vien qualche buona nuova,
voi sète quasi le prime a sapella:
177par che corrieri addosso il ciel vi piova.
  
E qui si sente un romor di martella,
di picconi e di travi, per mandare
180libero ogniun in questa parte e ’n quella.
  
Ma s’io vi son, lasciàtemivi stare;
di questa pietà vostra io non mi curo,
183a pena morto me ne voglio andare.
  
Non so più bel che star drento ad un muro,
quieto, agiato, dormendo a chiusi occhi,
186e del corpo e dell’anima sicuro.
  
Fate, parente mio, pur de gli stocchi;
pigliate spesso a credenza, a ’nteresse,
189e lasciate ch’a gli altri il pensier tocchi,
  
ché la tela ordisce un, l’altro la tesse.

◄LIV. Capitolo in laude d'Aristotele▲LVI. Capitolo di Gradasso►

Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985

Ultima modifica 11 anni fa di Carlomorino

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IL SECONDO LIBRO DELLA
HISTORIA NATVRALE
DI GAIO PLINIO SECONDO .
TRADOTTO PER M. LODOVICO DOMENICHI.
SE IL MONDO E FINITO , ET S'EGLI E VN
CAPITOLO PRIMO .
SOLO.GLI E DA CREDERE , che'l mondo , &tut
to que?to , che per altro nome ci è piaciuto chiamar
cielo , dal cuigiro tutte le cofe fon coperte, ?ia una
diuinità eterna , immenfa , non generata , ne per
douer mai mancare . Non appartiene gia aglihuo=
mini, necape anchora nella congiettura dell'huma
namente, il uoler'inueftigare le cofe eftrinfeche d'ef=
fo. Egliè facro , eterno , immenfo , tutto nel tutz
to, anzi egli è proprio il tutto ;finito, & fimile
all'infinito : certo di tutte le cofe , &fimile all'incerto ; di fuori , & di dentro in
fe steffo ogni cofa abbracciando : & egli è opera della natura delle cofe, & l'ifteffa
natura delle cofe . Et fu ueramentepazzia efpreffa d'alcuni , l'hauer uoluto ten=
li conferma.
no questa
tare di mifurarlo, & dipoi hauere hauuto ardire di esprimere la misura di effo : opiniodi Pli
che alcuni altri di qui pigliando occafione , o dandola a quefti , diceffero , che tech
i mondi foffero infiniti , perche fia neceffario credere , ch'altrettante anchora finito ,
fiano le nature delle cofe : o fepure una fola le ricuopre tutte , che però ui fiano
altrettanti foli, &altrettante lune,& per cia?cun mondo anchora altre grandi , e
innumerabili stelle : quafi ch'eßi non fiano per douer fempre hauere la medefima
quiftione nel termine del penfiero , e'l defiderio loro non fia per hauer mai fine .
Et quandopur uoleffero attribuire quefta infinità alla natura artefice di tutte le
nio , ¡fia eterno, uno,
mili.
A, non fia piu facile intendere quefto medefimo in un mondo folo , maßima=
mente effendo egli operafi grande . Et è ueramentepazzia , u?cir d'effo ; & co=
me fe Noihaueßimo piena cognitione delle fue cofe interiori , mettercipoi a in=
ueftigar quelle di fuori : quafi che po??a trouare la mi?ura d'alcuna co?a colui :
che non fa quella di fe steffo : o la mente dell'huomo po??a uedere , quel che il
mondo proprio non cape .
Della forma d'effo . Cap. II.
Mondo per
quali ragio Cm
ma d'un cer chio.
HE la forma fua fia ritonda informa d'un cerchio perfetto , il nomepriz
ni fia in for. ma, dipoi la openione di tutti glihuomini , che lo chiamano orbe , &
gliargomenti delle cofe anchora ce lo fanno credere ; non ?olamenteperche talfi=
guracon tutte le fue parti fi riuolge in fe steffa , & effa a ?e medefima è ?ofte
gno , & fe rinchiude , & contiene , non hauendo bi?ogno di comme??ura alcuna ,
&non hauendo ancho fine , o principio in alcuna fuaparte ; neperche tal figu=
ra , come fi uedrà poi , fia attißima al moto , ond'ella fi dee uolgere : ma ancho
ra con la pruoua de gliocchi , percioche da cia?cuna ?ua parte ?i uede conue??o ,
mezo, non potendo auuenir ciò in altra figura .
Del moto d'effo . Cap. III.
nafcimento dunque , e'l tramontar del Sole ci fanno conofcere , come que?ta
Ifua
riuolutione,& con incredibil prestezza . Ora fe il fuono di cofi gran mac=
china , che di continuo gira , fia grandißimo , & perciò trappaßi il fentimento
dell'orecchie , difficilmente lo faprei dire ; come ne ancho direi , quale fia it
fuono acuto delle stelle , lequali girano , & uolgono le loro sfere : 0 fe pur fe
E opinion ne fente una dolce , e incredibil foauità di concento . A Noi , che ci fiam den d'alcuni, che
mo accomo
ftofuono,co
eio auuenga tro, gira di notte il mondo fenza alcun romore . Ora che in effo fiano im
perc'habbia preffe infinite figure d'animali , & di tutte le cofe , & che il fuo corpo non fia
dato le ores lifcio , come fi uede nell'uuoua de gliuccelli , fecondo che famofißimi auttori
chie a que hannodetto , fi conofce per questo argomento : percioche da' femi di tutte le cofe
le piu uolte confufi che di la cafcano , uengono a nafcere poi infinite moftruofe
figure, & maßimamente in mare . Questo ci moftra anchora l'occhio noftro ,
perche uegghiamo in effo doue lafigura d'un carro , doue quella d'uno orfo, doue
d'un toro , & doue d'una lettera , effendo il circulo di mezo fopra fettentrione
molto bianco.
c'habitano me coloro,
alla foce del Nilo.
Perche fi chiami Mondo . Cap . IIII .
1
N quefto fono lo col parere di tutte le perfone . Percioche quello che i Greci
chiamarono Cofmo con nome d'ornamento , Noi anchora per la ?ua perfetta
elegantia l'habbiam chiamato Mondo . Chiamiamolo anchor cielo , come lo intera
petra M. Varrone , per effere egli celato , cioè fcolpito . Ciò ne conferma l'oradine delle cofe , effendo difegnato il circulo , che fi chiama Zodiaco , in dodici Zodiaco co
figure d'animali , per lequali figira il fole , gia tanti anni fono ?enza mai fer=
marfi .
10.
De' quattro Elementi . Cap. V.
opinione di>
ON ueggo anchora , che niuno dubiti , che gli clementi non fien quattro .
Queldel fuoco il primo , ilpiu alto , onde ueggiamo gliocchi di tante luci=
dißime stelle . Vicino a questo è lo spirito , ilquale e i Greci , ei noftri con un
medefimo uocabolo chiamano aere . Questo è quello elemento , che ci da la uita ,
&paffa per tutte le cofe , & è inferto nel tutto ; & la terra fofpefa dalla forza
d'effo,fi stabilanciata nello fpatio di mezo , col quarto elemento dell'acqua . Et Quefta fu
cofi abbracciandofi infiemegli elementi , fi uiene a fare un nodo di diuerfità ; onde poflidonio
le cofe leggieri fono ritenute dalle graui , perch'elle non uolino ; &all'incontro chel'aria ap
accioche le graui non rouinino in giu , fono fofpefe dalle leggieri , che uanno al te alla mate
Pinfu . Cofi con pari sforzo , tirando cia?cuna in diuerfa parte , per la lorforza parte alla
uengono a fermarsi , effendo ristrette infieme dal continuo circuito d'effo mondo: elele . La
ilquale correndo fempre in fe medefimo , la terra uiene a e??ere la più baffa e in
mezo , & staßi fofpefa ful perno dell'uniuerfo , & tienefofpefi quegli elementi,
per liquali effa pende . Et cofi ellafola sta immobile , girandofigli altri intorno a
lei; la medefima è collegata da tutti gli altri,&tutti glialtri s'appoggiano a lei,
De' fette Pianeti . Cap . VI.
ria terrena,
&
fottile, doue
FR
Orientali fu
' R ?la terra , e'l cielo , per lo medefimo fpirito , pendonofette stelle , ?epa=
rate fraloro con certi?pacij,lequali per il moto loro chiamiamo stelle erran=
ti, doue non ce n'è niuna, ch'erri meno d'effe . Per mezo di quefte ua il Sole d'in=
finitagrandezza , & poffanza , ilquale non folo è rettore de' tempi , & della
terra , maanchora delle stelle ifteffe del cielo . Et chi confidera bene l'opere di Et per elo
effo , deurà credere , ch'egli ?ia l'anima di tutto'l mondo, anzi piu tofto lamente, da tutti gli
e'l principalreggimento , & diuinità della natura . Questo è quel che miniftra adorato per
la luce , & leua le tenebre dalle cofe : quefto nafconde l'altre stelle : queftofecondo
l'u?o della natura tempera le ?cambieuoli mutationi de' tempi , & l'anno, chefem=
prerinafce : quefto difcaccia la meftitia del Cielo , rafferena anchora inugoli
dell'animo humano : quefto prefta il fuo lume anchora all'altre stelle ; & come
chiarißimo , & grandißimo ch'egli è , tutte le co?e ri?guarda , & tutte le ode ,ft
comelo ueggo efferpiaciuto a Homero principe delle lettere .
Cap . VII.
Dio .
Di Dio .
T però logiudico debolezza humana il uoler cercare la figura , & forma
E è Dio , u'è altro )e in
non poffono i uenti , alla
celefte '; &
quefta per
gli uccelli
doue
?alla terrena.
è tutto del fenfo, tutto della uifta , tutto dell'udita , tutto dell'animo , tutto del
l'anima ,&finalmente tutto di fe steffo . Et ueramente è pazzia grandißima
A ijcredere , che uifiano infiniti dei , fecondo le uirtù, e i uitij de glihuomini , fi come
la caftità , la concordia , la mente , la fperanza , l'honore , la clementia , la fede,
o , come uolle Democrito , due in tutto , la Pena , e il Benificio . Ma la debole ,
Seriffe Hefio
faticofa naturade gli huomini diuife queste cofe in parti , ricordandofi della
infermità fua , accioche cia?cuno adora??e in parti , quelle di che piu hauea bi?o
gno . Noiritrouiamo dunque uari nomi in diuer?e nationi , e in e??e anchora in
numerabili deità , effendo de?critti fino a gli dei dell'Inferno in generi , e infermi»
tà, moltepefti anchora , mentreche fouraprefi da fpauentofa paura defide
riamo placarle . Et perciò fu dedicato un tempio alla Febre in palazzo , nel
tempio d'Orbona l'altare degli dei familiari ; & nel monte Efquilino alla mala
do, che nel Fortuna . Onde fi puo stimare , che molto maggiore fia il popolo de gli Dei ,
mondo se che de gli huomini , poi che tutti da ?e medefimi fi fanno altrettanti Dei , adota
rau r?ta mi tandofi le Giunoni , e i Genij . Et ancho alcuni popoli hanno per Dei certi ani
mali, & pur de gli ?porchi, & molte co?e anchora piu dishone?te a dir?i, giuran=
do per cibi stomacofi , &fimili altre cofe . Il creder anchora , che fragli dei ci
fiano mariti mogli , &che per tanto tempo di loro non nafca ueruno , ch'al=
cuni d'eßi fiano uecchi , & fempre canuti , altrigiouani , & fanciulli , di color
nero , alati , zoppi, nati d'uno ouo , & di quegli , che partendo le uolte fra lo
ro, mentre che l'un uiue , l'altro fi muoia , è fcioccheria quafi che fanciullefca .
Ma uince ogni sfacciatezza , che tra loro fi fingano adulterij , uillanie , &odij,
rano adora
la Dei.
Di qui vene il prouerbio
greco a'r ????????a
homini au men.
che ai fiano anchora gli Dei de'furti , e delle ?celeratezze . Dio è , che
l'huomo aiuti l'altro huomo , &questa è la uiaall'eterna gloria . Per que?ta uia
caminarono i principi Romani : per quefta hora ne ua con celefte paffo infieme co
VION. Homo fuoi figliuoli Vefpefiano Augufto il maggior principe , c'hoggi uiua, foccorrendo
a' trauagli delmondo . Questo è l'antichißimo coftume, cheper rimeritare coloro
chehanno fatto benificio , eßi fieno pofti nel numero de gli dei . Et certo che i
Dei,&delle nomi di tutti glialtri dei , & delle stelle , ch'io ho raccontato di?opra , fono nati¸
Belle, onde: da' meriti de gli huomini . Et chi è , che non confeßi Gioue , & Mercurio , &
altrialtrimenti e??er chiamati fra loro , &effere la denomination cele?te per la
interpretatione della natura ? Ma egli è bene ancho da ridere , che quel grande ,
Nomi degli
fupremo , qualunque e' fi fia , habbia la cura delle cofe di questo mondo . Or
non crederemo Noi fenza dubbio alcuno , cheper cofi trifto & diuerfo maneggio
egli uenga a macchiar?i ? Et certo che con difficultà fi puogiudicare, qual de' due
mettapiu conto alla generatione humana , poi che alcuni fono, che non hanno riz
fpetto alcuno a glidei , & altri l'hanno tale , ch'è da uergognarfene . Percioche
feruono a'facrificij stranieri , portano gli dei con le mani , &ancho adorano i
moftri : dannano alcuni cibi , & fe ne uanno fanta?ticando de nuoui : impongono
crudeli imperij a?e steßi , nepo??on pure hauer fonno quieto . Non fanno mas
ritaggi

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Sarmazzano

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Canale Addetta

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Addetta

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Balbiano ponte

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Vergine della fonte

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Panorama

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Cassino d 'alberi

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Cassino d'alberi

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