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Statistiche del percorso

Distanza
17,89 km
Dislivello positivo
7 m
Difficoltà tecnica
Facile
Dislivello negativo
7 m
Altitudine massima
149 m
TrailRank 
61
Altitudine minima
104 m
Tipo di percorso
Anello
Tempo in movimento
2 ore 18 minuti
Tempo
2 ore 38 minuti
Coordinate
2848
Caricato
13 dicembre 2022
Registrato
dicembre 2022
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vicino a Bussero, Lombardia (Italia)

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Rime (Berni)/XIII. Capitolo dell'ago

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< Rime (Berni)

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)

XIII. Capitolo dell'ago

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Tra tutte le scïenze e tutte l’arti,
dico scïenze et arti manuali,
3ha gran perfezïon quella de’ sarti;

perché a chi ben la guarda senza occhiali,
ell’è sol quella che ci fa diversi
6e differenti da gli altri animali,

come i frati da messa da i conversi.
Per lei noi ci mettiam sopra la pelle
9verdi panni, sanguigni, oscuri e persi,

e facciam cappe, mantelli e gonnelle
e più maniere d’abiti e di veste
12che non ha rena il mar né il cielo stelle,

e mutiànci a vicenda or quelle or queste,
come anche a noi si mutan le stagioni
15e i dì son di lavoro o dì di feste.

Ci mangiarebbon la state i mosconi
e le vespe e i tafan, se non fuss’ella;
18di verno aremo sempre i pedignoni.

Essendo adunque l’arte buona e bella,
convien che gl’instrumenti ch’ella adopra
21delle sue qualità prendin da quella;

e perché fra lor tutti sotto sopra
quel ch’ella ha sempre in man par che sia l’ago,
24di lui ragionarà tutta quest’opra.

Di lui stato son io sempre sì vago
e sì m’è ito per la fantasia,
27che sol del ricordarmene m’appago.

Dissi già in una certa opera mia
che le figure che son lunghe e tonde
30governan tutta la geometria.

Chi vòl sapere il come, il quando e il donde,
vada a legger l’istoria dell’Anguille,
33ché quivi a chi domanda si risponde.

Queste due qualità fra l’altre mille
nell’ago son così perfettamente,
36che sarebbe perduto il tempo a dille.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Questa dell’ago è sua peggior fortuna:
si posson tôr tutte l’altre in motteggio,
39a questo mal non è speranza alcuna.

Le donne dicon ben c’hanno per peggio
quando si torce nel mezzo o si piega;
42ma io quella con questa non pareggio,

perché quando egli è guasta la bottega,
rotta la toppa e spezzati i serrami,
45si può dire al maestro: "Vatti annega".

Sono alcuni aghi c’hanno due forami,
et io n’ho visti in molti luoghi assai,
48e servon tutti quanti per farne ami.

Non gli opran né i bastier né i calzolai,
né simili altri, perché e’ son sottili
51quanto può l’ago assottigliarsi mai;

son cose da man bianche e da gentili,
però le donne se gli hanno usurpati,
54né voglion ch’altri mai che lor gl’infili.

E non gli tengon punto scioperati,
anzi la notte e ’l dì sempre mai pieni,
57e fan con essi lavori sfoggiati:

sopra quei lor telai fitte co i seni
sopra quei lor cuccin tutt’el dì stanno,
60ch’io non so com’ell’han la sera reni.

Quando l’ago si spunta, è grande affanno;
pur perché al male è qualche medicina
63si ricompensa in qualche parte il danno:

tanto sopra una pietra si strofina
e tanto si rimena inanzi e ’n dreto,
66ch’aconciarne qualch’un pur s’indovina.

Quando si torce ha ben dell’indiscreto;
e se poi ch’egli è torto un lo dirizza,
69vorrei che m’insegnasse quel secreto.

Questo alle donne fa venire stizza;
e ciò intervien perch’egli è un ferraccio
72vecchio d’una miniera marcia e vizza.

Però quei da Damasco han grande spaccio
in ciascun luoco e quei da San Germano:
75il resto si può dir carta di straccio.

Questi tai non si piegano altrui in mano,
ma stanno forti perché son d’acciaio
78temperati alla grotta di Vulcano.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chi la vista non ha sottile e pronta
questo mestier non faccia mai la sera,
81ch’a manco delle quattro ella gli monta,

ché spesso avvien che v’entra dentro cera
o terra o simil altra sporcheria,
84che inanzi ch’ella n’esca un si dispera.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E così l’ago fa le sue vendette:
s’altri lo infilza et egli infilza altrui
87e rende ad altri quel ch’altri gli dette.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Opra è d’amor tener le cose unite:
questo fa l’ago più perfettamente,
90che per unirle ben le tien cucite.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Caminando tal volta pel podere,
entra uno stecco al villano nel piede,
93che le stelle di dì gli fa vedere;

ond’ei si ferma e ponsi in terra e siede,
e poi che in su ’l ginocchio il pie’ s’ha posto,
96cerca coll’ago ove la piaga vede;

e tanto guarda or d’appresso or discosto,
ch’al fin lo cava, e s’egli indugia un pezzo,
99pare aver fatto a lui pur troppo tosto.

Infilzasi coll’ago qualche vezzo...

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Godete con amor, felici amanti;
state dell’ago voi, sarti, contenti;
103ché, per dargli gli estremi ultimi vanti,

è l’instrumento de gli altri instrumenti.

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Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985

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Flavio Ezio

generale e console romano

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Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo console del 454, vedi Flavio Ezio (console 454).

Flavio Ezio o Aezio (in latino: Flavius Aetius, pronuncia classica o restituta: [ˈflaːwɪ.ʊs aˈetɪ.ʊs][2]; Durosturum, 390 circa – Ravenna, 21 settembre 454) è stato un generale romano, più volte console e ministro sotto Valentiniano III.

Flavio EzioConsole dell'Impero romano d'OccidentePossibile ritratto di EzioNome originaleFlavius AetiusTitoliMagister militumNascita390 circa
DurosturumMorte21 settembre 454
RavennaConsortePrima moglie
PelagiaFigliCarpilione
Gaudenzio
Una figlia contestataPadreFlavio GaudenzioConsolato432, 437, 446, 454[1]Flavio Ezio (Flavius Aetius)Soprannome«L'ultimo dei Romani»NascitaDurosturum, 390 circaMorteRavenna, 21 settembre 454Cause della morteassassinatoDati militariPaese servitoImpero Romano d'OccidenteForza armataEsercito Romano tardo-anticoGradoMagister militumComandantiOnorio
Valentiniano IIIGuerreInvasioni barbariche del V secoloCampagneGuerra visigotica del 437BattaglieBattaglia di Ravenna;
Battaglia di Mons Colubrarius
Battaglia di Vicus Helena
Battaglia dei Campi CatalauniciComandante diEsercito romanoAltre caricheConsoleNemici storiciAttilavoci di militari presenti su Wikipedia

Flavio Ezio è famoso per la sua vittoria su Attila presso i Campi Catalaunici, dove i Romani inflissero una pesante sconfitta all'esercito degli Unni. Edward Gibbon lo ha definito «l'uomo celebrato universalmente come terrore dei Barbari e baluardo della Repubblica di Roma».

BiografiaModifica

FamigliaModifica

Ezio nacque a Durosturum (odierna Silistra, in Bulgaria), una cittadina della Mesia Inferiore, attorno al 390. Suo padre, Flavio Gaudenzio, fu uno stimato generale romano di origini scite[3] o - da come è stato avanzato da altri sulla scorta del suo cognomen - gotiche[4], mentre sua madre, il cui nome non ci è stato tramandato, era una ricca nobildonna romana di origine italica.[5]

Prima del 425 sposò la figlia dell'ex-comes domesticorum Carpilione, dalla quale ebbe un figlio cui diede il nome del nonno materno. Dopo il 432 sposò Pelagia, vedova del generale Bonifacio, da cui ebbe un figlio di nome Gaudenzio. Forse ebbe anche una figlia che sposò Traustila.[6]

Ascesa al comando militare supremo d'OccidenteModifica

Moneta coniata da Giovanni Primicerio, usurpatore sostenuto da Ezio

Da ragazzo servì probabilmente alla corte imperiale, arruolato nell'unità militare dei tribuni praetoriani partis militaris.[7] Dal 405 al 408 fu dato in ostaggio ad Alarico I, re dei Visigoti, dal quale imparò l'arte della guerra; Alarico chiese espressamente Ezio nuovamente in ostaggio nel 408, ma questa volta gli fu rifiutato. Poco dopo, però, fu inviato come ostaggio presso Rua, re degli Unni.[8]

Nel 423 l'imperatore d'Occidente Onorio morì, e al suo posto l'uomo forte della corte occidentale, Castino, nominò imperatore Giovanni Primicerio; Ezio servì sotto Giovanni come cura palatii. Giovanni non fu però riconosciuto dall'imperatore d'Oriente Teodosio II, che inviò in Italia un esercito per porre sul trono suo cugino, il giovane Valentiniano III; Giovanni inviò allora Ezio presso gli Unni, allo scopo di chiedere il loro aiuto. Nel 425 Ezio tornò in Italia alla testa d'un forte contingente di Unni, ma Giovanni era stato già catturato, deposto e ucciso da Valentiniano e da sua madre Galla Placidia; non di meno Ezio attaccò con i propri Unni l'esercito romano comandato da Aspare. La presenza in Italia di un forte esercito barbarico spinse Galla Placidia a scendere a patti con Ezio, il quale strinse un accordo con il giovane imperatore e rimandò i propri uomini nelle loro terre in cambio di un comando militare.[9]

Pannello del dittico consolare di Felice (428), uno degli avversari di Ezio, che ne causò la morte nel 430

Gli anni che seguirono, caratterizzati dalla minore età dell'imperatore Valentiniano III (che aveva appena sei anni al momento dell'ascesa al trono imperiale), furono segnati dalle manovre di potere di tre personaggi forti: Ezio, Bonifacio e soprattutto Felice, oltre alla reggente Galla Placidia, che li schierò l'uno contro l'altro affinché nessuno ottenesse abbastanza potere da marginalizzare lei e l'imperatore.[10]

Nel 425 Ezio si assicurò dunque la carica di comes et magister militum per Gallias, divenendo così il comandante supremo delle truppe stanziate in Gallia. La sua posizione era certamente inferiore a quella del patricius e magister militum Felice, ma la sua influenza sui contingenti ausiliari barbarici garantiva a Ezio una certa sicurezza e autonomia, facendone l'uomo più forte e influente in Gallia.[10] Sempre nel 425, o nel 426, sconfisse i Visigoti che assediavano Arelate (Arles) e li costrinse a ritornare in Aquitania. Nel 428 sconfisse i Franchi, liberando del territorio da loro occupato lungo il Reno.[11]

Nel 429 fu nominato magister militum; si trattava probabilmente del rango di magister militum praesentalis iunior dell'Impero d'Occidente; lo stesso grado, ma di rango senior, era tenuto all'epoca dal patricius Felice, il personaggio più potente della corte imperiale, sostenitore dell'augusta Galla Placidia. Nel maggio 430 Ezio accusò Felice di complottare contro di lui assieme alla moglie e li fece entrambi arrestare e uccidere. Morto Felice, Ezio divenne probabilmente il primo tra i magister militum, sebbene non ricevesse il rango di patricius. Sempre nel 430 sconfisse in Rezia gli Iutungi e distrusse un contingente visigoto nei pressi di Arelate, catturandone il capo, Anaolso. Nel 431 sconfisse i Norici e, tornato in Gallia, ricevette l'ambasciata di Idazio, vescovo di Aquae Flaviae, che si lamentava delle incursioni dei Suebi. Nel 432 sconfisse i Franchi, facendo pace con loro e rimandando Idazio in Spagna come ambasciatore presso i Suebi.[12]

In questo ruolo non passò molto prima che entrasse in conflitto col potente Bonifacio, che era stato nominato Comes Africae da Placidia. Lo storico greco del VI secolo Procopio di Cesarea sostenne che Ezio avrebbe intrigato ai danni del comes Africae, spingendolo subdolamente alla rivolta: avrebbe insinuato di fronte alla reggente che Bonifacio avesse intenzione di usurpare la porpora e separare l'Africa dal resto dell'Impero; le suggerì inoltre di mettere alla prova il comes Africae richiamandolo a Roma; a dire di Ezio una eventuale disobbedienza di Bonifacio a tale ordine sarebbe stata la prova dei suoi piani di tradimento; prima che l'ordine di richiamo nell'Urbe pervenisse a Bonifacio, il Comes Africae avrebbe ricevuto, tuttavia, una lettera da Ezio con cui gli veniva sconsigliato il ritorno a Roma, insinuando che Placidia in realtà avesse intenzione di farlo uccidere; Bonifacio, credendo alla lettera di Ezio, rifiutò di tornare nell'Urbe e sarebbe per tale motivo che fu dichiarato nemico pubblico di Roma.[13] La stessa versione dei fatti è riportata dal cronista greco del VII secolo Giovanni di Antiochia. Invece il cronista coevo latino Prospero Tirone, in questo caso probabilmente più attendibile, non cita alcun presunto coinvolgimento di Ezio nella rottura tra Placidia e Bonifacio, dovuta verosimilmente anche a divergenze di natura religiosa (Placidia era cristiana ortodossa, Bonifacio invece favoriva gli eretici donatisti), attribuendo questo ruolo al generale Felice, che in effetti all'epoca godeva di un potere e di un prestigio superiori a quelli di Ezio.[14] Bonifacio fu nominato nemico pubblico di Roma (427), ma successivamente riottenne il favore di Galla Placidia (429).[15] Secondo Procopio, la riappacificazione tra Placidia e Bonifacio sarebbe stata agevolata dalla scoperta dei presunti intrighi di Ezio.

La resa dei conti tra i due potenti generali avvenne nel 432, quando Bonifacio concentrò nelle proprie mani il magisterio militare e il patriziato, di fatto superando in prestigio Ezio che era console per quell'anno e al più Magister militum. Bonifacio sbarcò in Italia richiamato da Galla, portando con sé l'esercito più grande che potesse raccogliere; Ezio, che stava organizzando un esercito con l'aiuto del re unno Rua, ritornò dalla Gallia in Italia, di fatto ponendosi come fuorilegge. I due avversari si affrontarono in campo aperto nella battaglia presso Ravenna, che vide come vincitore Bonifacio, il quale, però, morì poco tempo dopo a causa delle ferite riportate nello scontro.[16][17]

Ezio, sconfitto, riparò nei propri possedimenti di campagna, ma dopo essere stato bersaglio di un fallito attentato, fuggì prima a Roma e poi presso gli Unni, passando per la Dalmazia e la Pannonia.[18] Col supporto militare dei suoi alleati, l'anno successivo Ezio tornò in Italia e costrinse Galla Placidia ad accettarne il ritorno al potere: fece esiliare fuori dall'Italia il genero e successore di Bonifacio, Sebastiano;[19] sposò la vedova del suo nemico, Pelagia, e ne ottenne i possedimenti e i contingenti militari privati.[20] Infine, fu nominato Comes et Magister militum, il massimo rango militare d'Occidente, e ottenne finalmente il rango di patricius, conferitogli il 5 settembre 435 a Ravenna.[17][21]

L'alleanza con gli Unni (433 – 439)Modifica

Negli anni che vanno dal 433 al 450 Ezio divenne la personalità più potente dell'Impero d'Occidente. Egli continuò a curare in special modo la difesa della frontiera delle Gallie ricorrendo alla diplomazia per raggiungere un compromesso con gli invasori degli altri fronti. Nel 435, con la pace di Trigezio, l'Africa fu spartita tra Vandali e Romani, con questi ultimi che per il momento conservavano Cartagine con Byzacena e Proconsolare. Con la partenza dei Vandali per l'Africa, in Spagna erano rimasti solo gli Svevi in Galizia. Sembra che l'intervento di Ezio in Spagna si fosse limitato a negoziazioni diplomatiche con gli Svevi in modo da raggiungere a un accomodamento tra invasori e abitanti della Galizia, nonostante le pressioni esercitate da alcuni ispano-romani, che avrebbero preferito un intervento militare.[22] Ezio non intendeva però perdere soldati nella riconquista di una provincia poco prospera quale la Galizia e si limitò a ripristinare il dominio romano sul resto della Spagna, che ricominciò di nuovo a far affluire entrate fiscali nelle casse dello Stato a Ravenna. Il panegirico di Merobaude asserisce che in Spagna, dove prima «più niente era sotto controllo, [...] il guerriero vendicatore [Ezio] ha riaperto la strada un tempo prigioniera e ha cacciato il predatore [in realtà andatosene in Africa per propria iniziativa], riconquistando le vie di comunicazione interrotte; e la popolazione è potuta ritornare nelle città abbandonate».

Per difendere la Gallia continuò a fare affidamento sugli Unni, che già lo avevano aiutato nelle lotte per il potere nel 425 e nel 433: in cambio dell'alleanza militare, Ezio dovette però cedere loro la Pannonia e la Valeria intorno al 435.[23][24] Secondo il panegirico di Merobaude, per merito di Ezio, «il Reno firmò dei patti che asservivano quel freddo mondo a Roma». Nel 436/437, inoltre, il generalissimo dell'Impero romano d'Occidente, sfruttando il supporto militare degli Unni, pose fine alle incursioni dei Burgundi nella Gallia Belgica, sottomettendoli: secondo le scarne cronache sopravvissute, i Burgundi di Gundecario subirono una prima sconfitta per opera di Ezio stesso nell'anno 436, venendo costretti a stringere una pace, mentre l'anno successivo furono attaccati e annientati dagli Unni.[25] Nel frattempo l'Armorica si era nuovamente ribellata secedendo dall'Impero sotto la guida di gruppi autonomisti locali, etichettati dai Romani come "Bagaudi" ("briganti") e condotti da Tibattone.[26] Nell'anno 437, tuttavia, un generale di Ezio, Litorio, riuscì a sopprimere la rivolta bagauda. Per i suoi successi Ezio resse il suo secondo consolato proprio in quell'anno.

Nel frattempo i Visigoti erano in piena rivolta, essendo intenzionati ad acquisire lo sbocco al Mediterraneo conquistando Narbona: nel corso del 436 la cinsero d'assedio, cercando di ottenere la resa della strategicamente importante città per fame.[27] Deciso a porre fine alle incursioni dei Visigoti, Ezio inviò nel 437 il generale Litorio con ausiliari unni per liberare dall'assedio Narbona, riuscendo nell'impresa: secondo Prospero Tirone gli Unni portarono ciascuno un sacco di grano alla popolazione cittadina affamata. La campagna proseguì con un certo successo: nel 438 Ezio inflisse una pesante sconfitta ai Visigoti nella battaglia di Mons Colubrarius, celebrata dal poeta Merobaude. La scelta di Ezio di impiegare un popolo pagano come gli Unni contro i cristiani (seppur ariani) Visigoti trovò però l'opposizione di taluni, come il vescovo di Marsiglia Salviano, autore del De gubernatione dei (Il governo di Dio).[28] Secondo Salviano i Romani, adoperando i pagani Unni contro i cristiani Visigoti, avrebbero perso la protezione di Dio, perché i Romani «avevano avuto la presunzione di riporre la loro speranza negli Unni, essi invece che in Dio». Si narra che nel 439 Litorio, arrivato ormai alle porte della capitale visigota Tolosa, che intendeva conquistare annientando completamente i Visigoti, permettesse agli Unni di compiere sacrifici alle loro divinità e di predire il futuro attraverso la scapulimanzia, suscitando lo sdegno e la condanna di scrittori cristiani come Prospero Tirone e Salviano. La battaglia che ne seguì, nei pressi della città, tra Romani e Unni contro i Visigoti vide però la vittoria di questi ultimi, che catturarono Litorio e lo giustiziarono. Secondo Salviano la sconfitta degli arroganti Romani, adoratori degli Unni, contro i pazienti goti, timorati di Dio, era una giusta punizione per Litorio, e confermava il passo del Nuovo Testamento, secondo cui «chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato».[29] La sconfitta e morte di Litorio obbligò Ezio a firmare una pace con i Visigoti riconfermante il trattato del 418, dopodiché tornò in Italia,[30] per l'emergenza dei Vandali, che proprio in quell'anno avevano conquistato Cartagine.

La fallita spedizione contro i Vandali (440 – 442)Modifica

La perdita di Cartagine provocò un deterioramento della situazione, spingendo Ezio a stringere una pace con i Visigoti, che confermò loro il possesso dell'Aquitania, per poter tornare in Italia per affrontare i Vandali.[31] È probabile che fu dopo il suo ritorno in Italia che Senato e popolo di Roma eressero una statua in suo onore a Roma, per volere dell'imperatore,[32] e forse anche i dona militaria;[33] a questo periodo va probabilmente fatto risalire il panegirico composto da Merobaude in suo onore.[34] Nel 440 tornò in Gallia. Qui entrò in contrasto con il prefetto del pretorio delle Gallie Albino, e il diacono Leone, il futuro papa Leone I, dovette intervenire a riappacificare i due avversari.[35] Fu probabilmente Ezio a curare l'insediamento, avvenuto sempre nel 440, di alcuni Alani guidati da Sambida nei pressi di Valence, nella valle del Rodano.

L'invasione vandalica della Sicilia nel 440, tuttavia, spinse il comandante a ritornare in Italia. Nel giugno del 440 era atteso in Italia con un grande esercito da inviare contro i Vandali, come attesta una legge del 24 giugno, esprimente fiducia in una vittoria romana: «l'esercito dell'invincibilissimo imperatore Teodosio, nostro Padre, arriverà presto, e l'eccellentissimo patrizio Ezio sarà qui ad attenderlo con un grande esercito». L'Imperatore Teodosio II inviò una flotta di ben 1100 navi in Sicilia in vista di un attacco congiunto delle due metà dell'Impero contro i Vandali: ma la spedizione sfumò a causa di una massiccia invasione unna nei Balcani ad opera di Attila, che costrinse Teodosio II a richiamare la flotta.[36] L'Impero fu così costretto a negoziare una pace con i Vandali nel 442, in cui riotteneva le Mauritanie e parte della Numidia, ma riconosceva ai Vandali il possesso di Proconsolare, Byzacena e del resto della Numidia. Il re vandalo Genserico inviò come ostaggio a Ravenna il figlio Unerico, che si fidanzò con la figlia dell'Imperatore, secondo i termini del trattato. Gli Unni, in precedenza alleati, ora venivano visti come una minaccia per l'Impero e per Ezio come conferma il panegirico di Merobaude del 443, che mette in bocca a Bellona, dea della guerra:

(LA)

«Despicimur: sic cuncta mei reverentia regni
alterna sub sorte perit. [...]
Eliciam summo gentes Aquilone repostas,
Fasiacoque pavens innabitur hospite gurges [Thybris]:
confundam populos, regnorum foedera rumpam;
nobilis et nostris miscebitur aula procellis.
[...]
Urge truces in bella globos, scythicasque faretras
agerat ignotis Tanais bachatus in oris.»

(IT)

«Io sono ormai disprezzata. Ogni rispetto per la mia sovranità è stato cancellato da una serie di molteplici disastri [le vittorie di Ezio e la pace con i Vandali]...
Io solleverò le nazioni che vivono nell'estremo nord, e lo straniero delle rive del Fasi nuoterà nel tremebondo Tevere. Mescolerò i popoli fra loro, infrangerò i trattati di pace siglati tra i regni e la nobile corte sarà gettata nel caos dalle mie tempeste...
[Rivolgendosi alla furia Enio] Spingi alla guerra le orde selvagge e lascia che il Tanais, che ruggisce nelle sue regioni incognite, porti fin qui le faretre della Scizia...»

(Merobaude, Panegyrici 2. 51-76.)

Le "orde selvagge" provenienti dalla Scizia, cioè gli Unni, avrebbero in realtà attaccato l'Impero romano d'Occidente solo otto anni dopo, nel 451, ma, invadendo l'Impero romano d'Oriente proprio in coincidenza con la spedizione congiunta contro Cartagine, avevano indirettamente favorito Genserico provocando il fallimento della spedizione e costringendo l'Impero romano d'Occidente a rinunciare alle più prospere province dell'Africa.[37]

Stanziamento di Foederati in Gallia (442-448)Modifica

Ezio probabilmente passò in Italia il 441, prima di tornare l'anno successivo in Gallia. Nel 442, infatti, decise di riportare l'ordine in Armorica, infestata dai ribelli, permettendo agli Alani di re Goar di insediarsi nella regione. Nel 443 Ezio stanziò come foederati i rimanenti Burgundi nella odierna Savoia a sud del Lago di Ginevra. Questi stanziamenti di foederati barbari, che avevano l'incarico di tenere a bada i ribelli e difendere le frontiere da altri barbari, generarono le proteste dei proprietari terrieri gallici, molti dei quali furono espropriati dei loro possedimenti da questi gruppi di foederati.[38] Secondo Halsall, «a questo punto, sembra che la politica imperiale in Gallia prevedesse un ritiro della frontiera dalla [...] Loira alle... Alpi, con gruppi di federati insediati lungo quella frontiera affinché aiutassero a difenderla», mentre i resti dell'esercito romano in Gallia avrebbero tentato di restaurare l'effettiva autorità romana in Gallia Ulteriore (settentrionale).[39]

Nel 446 Ezio resse per la terza volta il consolato, celebrato da un secondo panegirico di Merobaude;[40] si

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